Non è sempre chiaro in quali situazioni ha senso rivolgersi ad uno psicologo. Per questa ragione proveremo a rispondere alla seguente domanda: quando può servire un aiuto psicologico professionale?
L’unicità che caratterizza ogni persona, anche nel suo star male mentalmente, suggerisce cautela nel ricondurre vissuti e comportamenti a categorie di tipo diagnostico. Tuttavia, senza la pretesa di essere esaustivi, qui di seguito riportiamo le situazioni che più frequentemente possono richiedere un aiuto psicologico.
In generale tutto ciò che ruota intorno alla dimensione dell’ansia, a stati di tensione e preoccupazione che mettono a dura prova la persona. L’attacco di panico, nella sua manifestazione al tempo stesso esplosiva ed incomprensibile, costituisce oggi una delle condizioni che più spesso si incontrano in uno studio di psicoterapia.
Quando sentimenti quali tristezza, sfiducia verso il futuro e demotivazione vanno oltre un fisiologico sentirsi “giù di morale”, quando sono troppo intensi o persistono da troppo tempo può essere opportuno richiedere l’aiuto di uno psicologo.
Quando nella coppia le situazioni conflittuali diventano difficili da gestire, quando si presentano difficoltà nella sfera sessuale, quando più in generale si avverte uno stato di sofferenza del legame. Quando vi sono eccessive difficoltà di comunicazione tra genitori e figli (rispetto delle regole, fasi particolari del ciclo di vita) Quando si presenta una situazione di crisi familiare che non sembra trovare possibilità di soluzione all’interno del nucleo.
Quando una persona fa esperienza di qualcosa di interno che la blocca, che la frena nella espressione di Sé. Spesso le inibizioni riguardano aree specifiche come la vita affettiva, quella sessuale, quella lavorativa, quella scolastica o quella delle relazioni in generale.
Quando, ad esempio, la persona si sente incapace di concludere una relazione sentimentale e vive la separazione come un pericolo intollerabile. Oppure quando, al contrario, l’interdipendenza affettiva tipica di ogni rapporto sentimentale risulta per la persona talmente disturbante da compromettere profondamente la sua vita di relazioni.
Anoressia, Bulimia, Vomiting, Binge Eating Disorder (alimentazione incontrollata) sono le forme patologiche più diffuse. In generale possiamo considerare problematico il rapporto col cibo quando non viene più percepito nella sua dimensione naturale.
Quando la paura avvertita di fronte a particolari oggetti o situazioni risulta ingestibile, non più controllabile attraverso la razionalità e produce un comportamento di evitamento (la persona, in altre parole, comincia ad autolimitarsi pur di tenere alla larga lo “stimolo fobico”, ciò che fa scattare la paura). Tra le fobie più comuni c’è ad esempio quella di trovarsi in situazioni sociali, in mezzo a molta gente, oppure in spazi molto chiusi, la paura di viaggiare od allontanarsi da casa, e molte altre. Problematiche ipocondriache sono quelle per le quali la paura riguarda il timore infondato di essere affetti da qualche malattia, spesso grave o incurabile. Questo timore può considerarsi ipocondriaco nella misura in cui non tiene conto dell’assurdità sul piano reale, persiste cioè nonostante reiterate disconferme esterne (visite mediche, esami clinici, analisi diagnostiche, etc.)
In alcuni casi, e di fronte a particolari “zone di sofferenza”, è ipotizzabile che alcuni organi del corpo e alcune funzioni esprimano un malessere di tipo mentale “concretizzandolo” nel corpo. In questi casi, se la premessa diagnostica si rivela fondata (e quindi solo dopo che un medico specialista abbia escluso una causa organica), un approccio psicologico può determinare un miglioramento o una risoluzione del problema.
Quando in adolescenza un ragazzo entra in un periodo particolarmente difficile dal quale non sembra avere le risorse per uscire, ed emergono – ad esempio – problemi legati alla scuola, al rapporto coi coetanei, alla sviluppo di comportamenti rischiosi. A volte queste difficoltà emergono intorno alla gestione delle “regole” all’interno famiglia e si può intensificare la litigiosità tra figli e genitori. In altri casi i problemi si esprimono attraverso un graduale ritiro dalla vita sociale. In generale tutto ciò che comunemente viene definito un arresto evolutivo in adolescenza.
Quando scoppi di rabbia e di violenza risultano troppo intensi o troppo frequenti. In generale quando l’espressione dell’aggressività non sembra mediata da adeguate capacità di autocontrollo.
Quando pensieri, immagini (o qualunque altro contenuto mentale) diventano intrusivi ed emergono indipendentemente dalla volontà della persona e dal loro grado di insensatezza. Queste ossessioni possono diventare per un soggetto fortemente disturbanti e penalizzanti. In alcuni casi il problema non rimane limitato al versante interno (contenuto ideativo) ma coinvolge il comportamento dando origine, ad esempio, ad azioni ripetitive (come lavarsi le mani, pulire la casa, ripetere certe parole, etc.) assumendo cioè una dimensione compulsiva.
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